Rompere l’incantesimo
Capita che in un film siamo infastiditi da un rumore prolungato, da un urlo, un suono intermittente. Il fastidio, in questi casi, si trasforma facilmente in tedio perché i suoni fastidiosi fanno sembrare le scene che li contengono interminabili.
Tuttavia per quanto fastidiosi, essi sono una scelta che vale la pena analizzare. In effetti, spesso ciò che manda in frantumi il tessuto naturalistico del cinema, la sua quasi naturale capacità di restituire una situazione realistica con un rapporto diretto 1:1, è un indizio lasciato dal regista per capire meglio la sua opera, o in generale è qualcosa su cui l’autore di un film vuole che puntiamo l’attenzione per qualche motivo specifico.
Come l’uso delle luci nel cinema di Kon e Lynch era un indizio importante per inquadrare l’effetto estetico che producono i loro film e il modo in cui quell’effetto si integra perfettamente con le loro narrazioni, così i rumori sgradevoli possono essere più importanti di quello che si pensi.
Lo squillo di Once upon a time in America
Parlando di suoni fastidiosi non si può che cominciare dal leggendario squillo che accompagna le scene iniziali di Once upon a time in America, capolavoro di Sergio Leone (ne ho parlato più approfonditamente qui), che dura tre interminabili minuti. Pensate che la prima volta che ho visto il film credevo fosse un difetto dello streaming video, magari una corruzione del file audio, e questo mi ha fatto riflettere su quanto poco siamo abituati ai suoni fastidiosi e quanto poco raramente i registi li usino, proprio per non infastidire gli spettatori. Quando c’è un suono del genere non vediamo che la scena finisca, ma questa sensazione di urgenza può essere usata a favor di trama, per trasmettere allo spettatore un senso di inquietudine e ossessività che magari prova anche il personaggio del film. In effetti è esattamente il modo in cui lo usa Leone.
La scena in questione è un capolavoro di montaggio. Ci troviamo all’inizio del film, e Leone fa iniziare il film in medias res, catapultandoci in un mondo narrativo senza darci nessuna coordinata. Tutto quello che vediamo nei primi cinque minuti lo capiamo solo alla fine del film. A questo punto sorge un problema per l’autore di una scena così importante mostrata in un momento in cui non possiamo capirla appieno: e il punto è che evidentemente Leone non vuole che noi capiamo la scena alla prima visione, ma che di quella scena ci rimanga una sensazione di profonda angoscia e fastidio. Per realizzare questo obiettivo, Leone fa partire uno squillo lungo 3 minuti.
Tuttavia questo sarebbe un metodo brutale e ingiustificabile di manipolare lo spettatore, se non fosse ben integrato nella narrazione. E ovviamente Leone lo integra alla perfezione. Analizziamo nel dettaglio la scena.
Lo squillo inizia mentre Noodles si trova in un locale cinese per fumare oppio. La camera inquadra la sua faccia e a poco a poco si sposta
Si sposta su una luce posata su un comodino accanto al letto dove Noodles sta fumando oppio e qui c’è una transizione meravigliosa che dalla luce sul comodino passa alla luce di un lampione distrutto in una strada affollata da poliziotti dove si è da poco verificato un incidente e un incendio (vediamo i vigili del fuoco intenti a spegnerlo)
La telecamera si avvicina a tre corpi posati sull’asfalto, di cui uno irriconoscibile perché totalmente bruciato. E poi stacca sul volto di Noodles, che tra la folla assiste a questo macabro spettacolo mentre una pioggia scrosciante si abbatte sulla città. Su ogni cadavere viene apposta una targhetta con il nome della vittima e la camera ha cura di mostrare questo particolare. Noi non conosciamo nessuno di quei nomi a questo punto del film. Il trillo del telefono continua a essere assordante.
C’è un taglio netto e la camera attacca su una festa, si sta celebrando evidentemente la fine del proibizionismo, con una marcia funebre suonata mentre degli uomini portano una torta a forma di bara, circondata da bottiglie di champagne a mo’ di candele rituali intorno alla tomba. La scena è muta eccetto per la musica e il trillo che continua a suonare.
Noodles alla festa si allontana dalla folla ed entra in una stanza, dove alza la cornetta del telefono. Il montaggio di questa scena vuole farci chiaramente credere che finalmente è questo il momento in cui lo squillo si interrompe, avendo Noodles ricevuto la chiamata che lo produceva. Invece il suono continua, producendo un senso di straniamento. Noodles compone un numero
Taglio. La camera inquadra la scrivania di un sergente di polizia. Il telefono continua a squillare. Una mano alza la cornetta sulla scrivania del sergente.
Taglio. Un suono distorto ci riporta alla scena in cui Noodles fumava oppio, lo squillo del telefono finisce, Noodles all’improvviso si alza come se il suono distorto fosse il risveglio da un brutto sogno.
Questa scena, senza nemmeno un dialogo ci presenta gli elementi fondamentali di tutto il film. Prima di tutto presenta i personaggi principali in modo atipico: mostrandoci la fine che faranno. Poi ci presenta la tecnica di narrazione discontinua a cronologicamente aggrovigliata che caratterizza tutto il film. Infatti la scena dello squillo parte da un punto, torna indietro nel passato (la scena dell’incidente), e poi va sempre più a ritroso (la scena della festa), per tornare infine alla scena iniziale. Questo ci fa capire che qualcuno sta ricordando quello che è successo. Ovviamente Noodles.
Ma che funzione ha quindi lo squillo? Anche senza sapere nient’altro del film, a questo punto possiamo già tirare delle conclusioni: considerando la situazione in cui si trova Noodles e il suo brusco risveglio, lo squillo è evidentemente associato a un trauma che tormenta Noodles. Il tormento di Noodles è espresso perfettamente dal tormento dello squillo, che perseguita sia il protagonista nel suo sogno che lo spettatore che assiste ad esso.
Non sappiamo ancora niente di lui e degli altri personaggi del film, non sappiamo che rapporto ci fosse tra Noodles e i morti sull’asfalto, non sappiamo perché Noodles fosse a quella festa, né perché abbia chiamato un ufficiale di polizia. Ma sappiamo che quella chiamata lo tormenta ancora. Nel corso del film scopriremo quale sia la portata psicologica e narrativa di quella chiamata, e scopriremo che quella scena iniziale era tutt’altro che casuale. Ma adesso sappiamo il peso psicologico che quella chiamata esercita sul personaggio.
Inoltre pensate all’uso originale che Leone fa in questa scena del meccanismo del flashback, così spesso abusato dai registi per passaggi narrativi che finiscono con lo spiegare la storia in modo didascalico e banale. Qui Leone ci dà indizi, come in un film thriller o un poliziesco, facendo crescere la tensione e le domande, senza spiegare alcunché.
L’occhio (e le orecchie) del regista
Questo è il cinema al suo meglio. Senza parlare ma semplicemente mostrando, Leone pone la basi stilistiche e narrative della sua storia, ci dà tutti gli indizi necessari a comprendere la portata di quello che succederà in seguito. Inoltre dichiara fin da subito, implicitamente, che il suo è un film che va studiato, e che può essere compreso appieno solo guardandolo più volte, studiando il modo in cui compone la scena, in cui passa da una scena all’altra, in cui articola l’intreccio e usa i suoni e le musiche. Questo è cinema.
Questa riflessione potrà sembrare oziosa, ma è quello che il cinema migliore ci chiede di fare. La camera è l’occhio del regista, e il suo compito è selezionare parti del mondo su cui rivolgere l’attenzione. Il regista, come ogni narratore è un catalizzatore di eventi: vuole che vediamo il mondo attraverso il collage di situazione di dettagli che lui ha scelto. E ancora più che in altri medium, nel cinema questo principio è letterale, perché noi vediamo letteralmente attraverso gli occhi dell’autore. Solo che quegli occhi non sono organici, ma un groviglio di lenti e fili.