Quando penso a un’opera, nella mia mente non parte ogni volta il ricordo 1:1 dell’esperienza che ne ho fatto, ovviamente. Piuttosto la mia mente distilla il senso generale di quell’esperienza, in modo più o meno arbitrario. Così potrò associare una storia a una sensazione particolare, un’immagine, una scena specifica, una frase che ne riassume il senso generale, una musica ecc. Quando penso a Berserk, la mia mente pensa solo a una cosa, e non è la spada di Gatsu, ma qualcosa di ancora più basilare e determinante nel modo in cui appare il manga: le ombre.
Il male assoluto
Un buon modo di mettere alla prova un’opera è vedere cosa succede se proviamo a separare la forma dal contenuto. Quanto più sarà difficile, tanto migliore sarà l’opera. Questo perché un autore consapevole sa raccontare la sua storia non nonostante i mezzi che il medium gli mette a disposizione, ma in virtù di essi. Per me un cattivo esempio di questo uso può essere visto in Neon Genesis Evangelion. Un ottimo esempio di armonia tra forma e contenuto è invece Berserk, il manga di Kentaro Miura.
Una delle particolarità di Berserk è la scarsità di informazioni che provengono dai dialoghi tra i personaggi. La maggior parte della comunicatività di Berserk proviene infatti dai disegni, dalle ambientazioni che per questo si riempiono di dettagli e di particolari, per veicolare massicce quantità di dati sul mondo in cui la storia è ambientata. Questo principio di disorientamento narrativo è dichiarato fin dall’inizio dal manga, che infatti prende avvio in medias res, in un punto della storia in cui molte informazioni importanti ci vengono celate nel passato, e che vengono a poco a poco rivelate con flashback, allucinazioni e sogni. Questo senso dell’oscurità e dell’ostilità di un mondo che non ha interesse a rivelarsi e che trae la sua minacciosità anche dall’ignoranza che conserviamo nei suoi confronti, è un tratto non casuali, ma contribuisce a creare la sensazione di insormontabilità del male che Miura vuole far percepire al lettore lungo tutta la sua opera.
A questo meccanismo di sottotesto narrativo per la creazione del senso di minaccia e di male radicale, Miura aggiunge un espediente molto più esplicito, ovvero la rappresentazione della violenza. Tuttavia la violenza di Berserk non è una violenza comprensibile, non è una violenza umana, a una violenza estrema e iperbolica. Mi rendo conto che è estremamente difficile descrivere a parole il senso di disperazione che trasmettono le tavole di Miura, è praticamente impossibile eguagliare quella sensazione senza usare le parole in modo altrettanto estremo di quanto lui abbia fatto con i disegni. Al male assoluto e imperterrito, incomprensibile e insuperabile di Berserk concorrono narrativamente vari fattori, quindi: dalla scelta del silenzio narrativo intorno al mondo che fa crescere la sensazione di ostilità, alla violenza mostruosa messa in scena, all’utilizzo archetipico di certe immagini: basti pensare all’enorme spadone di Gatsu, alla contorsione purulenta delle creature mostruose che il protagonista affronta, il mondo degli inferi e le spirali di demoni, ribaltamento amaro dei cori angelici barocchi.
Ombre
Ma come si realizza concretamente questa esagerazione della violenza? Secondo me il dettaglio di disegno unico di Miura che gli permette di trasmettere al meglio i concetti veicolati dalla sua narrazione, è l’uso delle ombre. Le ombre nelle tavole di Berserk non sono mai morbide e rotonde, ma piuttosto affilate e appuntite, rigide, come delle stilettate che si stagliano sugli oggetti che la luce colpisce. Le ombre non sono mai nemmeno rigide, ma quasi frammentate, come uno specchio in mille pezzi. Rimando all’immagine di apertura per un esempio vivido. Questo uso esasperato delle ombre, che compaiono pressoché su ogni cosa sulla pagina, è uno strumento privilegiato per creare la sensazione di un mondo devastato e rovinato. Se le ombre dipendono dalla luce, allora anch’essa sarà distorta, affilata e graffiante. Lontano dallo stereotipo della luce come motivo di salvezza e di pace. Infatti, all’immaginario della luce e della bianchezza, Miura decide di associare non a caso Griffith, a cui si contrappone lo Black Sword di Gatsu e le ombreggiature calcate del protagonista. Come sa benissimo chi ha letto il manga, Griffith è tutt’altro che un personaggio positivo e la scelta di associarlo alla luce costituisce un ribaltamento della simbologia classica estremamente interessante, che verrà ripreso ad esempio da Miyazaki in Dark Souls con la contrapposizione fiamma/oscurità.
Le esplosioni di violenza in Berserk sono sempre accompagnate dall’uso smodato di ombre, che per il loro spessore diventano quasi tangibili, come se lo spadone di Gatsu dovesse tagliare anche la materia stessa di cui è fatto il disegno, farsi strada tra l’inchiostro addensato sulla tavola che stiamo guardando.